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“Negri” della periferia di Barcellona: giovani dominicani tra stigma e resistenza

26/10/2011 admin 0
…da sempre i negri lavorano come negri, perché i negri sono quelli che lavorano di più, per vivere come bianchi…” Simón, 16 anni, desde hace 7 en L’Hospitalet (BCN)
Los Kitasellos è il nome di uno dei gruppi giovanili della periferia dell'Area Metropolitana di Barcellona con cui lavora l'antropologo Luca Giliberti (Università di Lleida – Ricercatore FPU-ME). Togliersi le etichette ("quitarse los sellos") della differenza, per molti giovani dominicani de L'Hospitalet de Llobregat, significa resistere allo stigma, imposto anche a livello istituzionale, dalla propaganda elettorale, dalle continue retate della polizia, dai quotidiani alla ricerca di bande latine - e trasformare così la discriminazione in emblema di un'identità negra.
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Razzismo a “Santako”

07/08/2011 admin 0
Sei municipi intorno a Barcellona - Hospitalet, Badalona, Terrassa, Sabadell, Mataró, Santa Coloma de Gramenet - sono tra le dieci città più popolate della Catalogna. Ma solo a Hospitalet e Santa Coloma la densità di popolazione è così alta da superare quella di Barcellona, città compatta per eccellenza. Il caos urbanistico che caratterizza Santa Coloma de Gramenet è il risultato diretto della speculazione edilizia e della corruzione politica: e il razzismo persistente di alcuni settori della popolazione è l'altra faccia della mancanza di spazio e dell'incredibile diversità di origini che caratterizza la popolazione di Santako. Però se all'inizio del 20º secolo coloro che rifiutavano i "mursiani" della zona delle casas baratas almeno potevano vantare origini locali e lingua catalana, in questo secolo quelli che rifiutano e boicottano gli arabi, i cinesi, i latinoamericani, i rumeni della città sono essi stessi - in gran parte - migranti di seconda generazione. Il video Mézquita no! (2005) racconta il conflitto esploso per l'apertura di una moschea nel quartiere Singuerlín.
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Larache d’estate

16/07/2011 admin 0

Le sere d'estate, il centro di Larache (porto atlantico a un'ottantina di km sud da Tangeri) si riempie di tutti gli emigranti che tornano dall'Europa per le vacanze. Macchine nuove, vestiti europei, atteggiamenti altezzosi: quasi ogni famiglia della città ha qualcuno che vive in Spagna, Inghilterra, Belgio, Francia, Olanda. A Larache - "la perla del nord" - il pesce abbonda, la verdura costa poco e le case non sono care. È stata qui, a inizio '900, la prima iniziativa di edilizia popolare di tutto il Marocco: il quartiere di Kalleto (Hay Jadid, Quartiere nuovo), costruito per i baraccati e i migranti dell'aroubía, le zone rurali. Ogni rissa, ogni notte di tensione, è vissuta con vergogna dagli abitanti del quartiere: perché ricorda loro che non stanno in Europa, dove tutto è perfetto, come paiono affermare gli shikis (pariolini) del centro ostentando la loro presunta ricchezza.

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Ancora sul centro di Barcellona: Melodia del Raval, di M. Vázquez Montalbán

09/01/2011 admin 0
"Qui siamo nati tutti in quartieri che vi avanzavano, circondati di cose che vi avanzavano, aspettando di crescere, invecchiare, o meglio, di decostruirci, per poter meglio ricevere i vostri sociologi, i vostri psicologi sociali, il sostituto sindaco, l'assessore peggio vestito, i figli dei quartieri ricchi che vengono a darci l'esempio di come con talento e fatica possiamo riuscire a uscire dai quartieri che vi avanzano; cioè, ci date la scienza sociale che vi avanza, la psicologia che vi avanza, il sindaco che vi avanza, lo sguardo di solidarietà che vi avanza e la paura che vi avanza, perché a volte pensate che sareste potuti essere voi gli avanzi e per questo scendete qui a vederci interpretare il ruolo delle classi sussidiate, ormai inutili anche per la produzione perché la robotica ci ha sostituito e perché la nostra condizione di quartieri avanzati non può competere con gli avanzi di altre latitudini ancora più impoverite.
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Memoria storica e falsificazioni nel centro storico di Barcellona

29/12/2010 admin 0
Per capire la profonda trasformazione urbanistica e sociale che ha investito il Barrio Chino di Barcelona, centro storico della città (che ora, dopo la gentrification e gli sventramenti, va chiamato "Raval"), si porta sempre l'attenzione sul sottoproletariato che vive e traffica nel quartiere: "gente della malavita e del malcostume" (1943). Sarebbe invece molto più propizio rivolgere lo sguardo ad altri traffici, di ben altra portata e ben più occulti di quelli della malavita del Barrio Chino. La borghesia catalana ha cercato di trasformare e demolire il centro di Barcellona da oltre un secolo: il progetto dovette attendere durante la guerra e la dittatura, ma con gli anni '80 si recuperò il vecchio sogno di dominio. "Queste 200 famiglie che erano al potere da 150 anni, avevano comprato i palazzi del centro, per far soldi a palate con la demolizione e ricostruzione di questi quartieri". Leggere l'articolo inedito di Adolf Castaños, La memoria e la sua falsificazione (2010) in PDF(Italiano) (originale Spagnolo).
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Il sogno degli architetti

03/12/2010 admin 0
"Secondigliano, Miano, Piscinola, tutti i quartieri della periferia settentrionale, ma soprattutto Scampìa, il più giovane e il più maledetto quartiere di Napoli, sono ormai disseminati di simboli negativi, emblema di qualcosa di oscuro e inestirpabile, che per estensione si applica alle decine di migliaia di persone che in periferia continuano a condurre una vita normale". (Rossomando, 2007). Per "Le Vele" di Scampìa, enormi edifici nati come progetto architettonico innovativo negli anni '70, e ora diventati zona "off-limits" per eccellenza, si cerca di nuovo una soluzione architettonica: demolire o preservare? L'utopia è quella della "tabula rasa", cioè di risolvere i problemi sociali demolendo e ricominciando da capo, o svuotando e trasformando in monumento. "La complessità della realtà dei luoghi si riduce miserevolmente al dibattito pubblico tra demolizione e patrimonializzazione, a due facili e spettacolari soluzioni, che in entrambi casi prevedono sempre un attacco alla storia delle comunità che ci abitano" (Nocera 2010). Di ben altre utopie si nutre la moltitudine di persone che, quotidianamente e da decenni, lottano a fianco dei gitani del campo nomadi, degli abitanti delle Vele, delle famiglie distrutte dalle tragedie del "malcomune". Anche di loro si farà "tabula rasa"?
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Favela: l’essenziale, invisibile agli occhi.

27/11/2010 admin 0
Delle favelas brasiliane abbiamo generalmente un'idea distorta, condizionata dagli stereotipi e dal cinema. Spesso la povertà non si presenta sotto la forma fisicamente visibile di condizioni igieniche degradate o di gravi deficit di infrastrutture. L'istituzionalizzazione ed il riconoscimento pubblico di molti movimenti critici, dell'epoca della dittatura, ha elevato a sistema alcune relazioni puramente assistenzialiste che questi gruppi, ora sotto la forma di ONG, esercitano nei quartieri più poveri. Il loro lavoro continuo e finanziato durante gli ultimi decenni è riuscito a migliorare molti degli aspetti visibili della vita dei quartieri poveri; però compromettendo profondamente l'autonomia e la capacità autorganizzativa degli abitanti. Le comunità vengono ridotte alla dipendenza, e rimangono esposte ed incapaci di difendersi da sole dai pericoli. Nella favela Monte Azul di São Paulo, studiata da Fabiana Valdoski, un gruppo di tedeschi d'ispirazione antroposofica costituirono l'ONG Associação Comunitária Monte Azul, che controlla tutte le attività di miglioramento e "sviluppo" del quartiere. Però quando la favela è diventata interessante per la criminalità organizzata, che è iniziata a penetrare a Monte Azul nel 2008, né gli abitanti avevano più le capacità organizzative per impedirlo, né l'ONG ha potuto farci nulla.
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Etnicità e genere in un omicidio nella periferia di Roma

21/10/2010 admin 0

Il 15 ottobre 2010 è morta Maricica Haiaianu, infermiera rumena di 32 anni, dopo l'aggressione di un giovane italiano nella stazione metro di Anagnina a Roma. Su questo fatto (razzismo? sessismo? entrambi? o un complesso sistema di interazioni simboliche?), e sul contesto che lo ha provocato, scrive l'antropologo italiano Pietro Vereni. Questa è la traduzione del suo articolo allo spagnolo; l'originale in italiano si trova sul suo blog.

Lo siento, pero la cuestión es justamente étnica y de género. El asesinato por parte de Alessio Bertone de la enfermera Maricica Hahaianu en la estación de metro Anagnina de Roma, ha recibido mucha atención por parte de los periódicos, de la radio, de la televisión y de todos los medios de comunicación. La historia es esencialmente dramática en su banalidad (una nueva versión de la banalidad del mal, podríamos decir) y parecería una de esas trágicas “fatalidades” debida a la anomía de la vida urbana, a un sistema de relaciones sociales totalmente vacío de contactos personales y por lo tanto reducido a puro intercambio económico. Aunque no podamos pasar por encima de estos aspectos, y no hay duda que la vida en las metrópolis se caracteriza por un aumento de violencia aparentemente gratuita, pero creo que en este caso específico tenemos que investigar también su componente “étnica”, que no es absolutamente marginal como parecen suponer muchos periodistas y políticos: que han hablado de un caso de violencia que no hay que explicar absolutamente en términos de racismo o de tensión étnica.