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Note da un sub-suburbio di Madrid
“MAD#sub fa parte di una ricerca sulle dinamiche territoriali della cintura sub-suburbiale di Madrid. È un processo di micro-ricerca azione che indaga sulle forme di rappresentazione del paesaggio della periferia, le pratiche culturali e le narrative autonome che si possono generare rispetto alla trasformazione e i vissuti di questi spazi liminali. Consideriamo la liminarità come uno spazio di transizione, caratterizzato dall’indeterminatezza e dove ogni divenire è possibile. La metropoli, e più concretamente la periferia, è uno spazio di resistenza e di possibili proposizioni che permettono la costruzione di nuovi modi di intendere la cultura e le forme di vita. I suburbi di queste periferie metropolitane sono spazi vuoti e lontani dal controllo, luoghi ancora suscettibili di essere riappropriati e dotati di nuovi significati”. Testo di proposta del LABORATORIO MAD#sub, organizzato a PUERTA DEL SUR, dal 19 al 22 di novembre da Sitesize e La Casa Encendida di Madrid.
- Immagini e simboli: “Los suburbios de la classe obrera son extraños y hermosos” di Javier Calvo [LINK]
- Pagina web di Sitesize: “piattaforma di progetti collettivi sulla città contemporanea“. Nel 2009 hanno pubblicato “D’allò comú permanent”, raccolta di saggi e riflessioni su pedagogia, comunità e città [LINK AL PDF]
Le baracche di Poblenou
- "Paisatges urbans - paisatges humans" - Reportage fotografico su Poblenou di Núria Sánchez Armengol (2008)
- Pagina web dell'esposizione "Barraques - la ciutat informal" del Museo di Storia di Barcellona [LINK]
- Notizia sullo sgombero dell'accampamento del 6/10/2010 [VIDEO]
- Nomadismo urbano a Poblenou, 2000-2005: prima raccolta di materiale, in Poblenou avui, part2 [PDF]
- Aprile 2012: quattro morti in un incendio di una baracca a Can Ricart, possibilmente tra le vittime una delle donne ritratte in queste fotografie.
“Qué sos, Nicaragua, para dolerme tanto?” (Cosa sei, Nicaragua, per farmi così male?)
Non ci sono periferie a Managua, Nicaragua: perché non c’è il centro. In tutta l’estensione della città, gli asentamientos espontáneos (“favelas”) e le colonias (“gated towns”) vivono uno accanto all’altro, protetti gli uni dalla loro bande (pandillas), gli altri dalle guardie private. Il governo non fa nessun tentativo di nascondere la miseria dei suoi abitanti più poveri: perché il Nicaragua vende al mondo la sua povertà, per raccogliere le entrate della cooperazione internazionale, che in gran parte restano in mano delle sue élites.
Molte delle ONG che lavorano oggi nell’infinità di progetti di “sviluppo integrale” o “empowerment comunitario” nei quartieri più poveri di Managua, sono le stesse che negli anni ottanta offrirono solidarietà “internazionalista” e spesso anche armata, in difesa della Rivoluzione Sandinista dalla “guerra sporca” finanziata dagli USA. Ora sono pagate dagli stessi governi – europei e nordamericani – che contribuirono al fallimento di quello storico “progetto di sviluppo comunitario integrale diretto localmente”. I governi usano le ONG per aprire la strada al commercio internazionale, e come strumento palliativo per ridurre gli effetti dei “piani di aggiustamento strutturale” neoliberisti. Questo sistema perverso si riflette a livello micro nelle relazioni umane tra “cooperanti” e “beneficiari” dei progetti di sviluppo, secondo le conclusioni di “La cooperación internacional en Nicaragua. Problemas y aspectos socioantropológicos”, Stefano Portelli, 2001. La ricerca si basa su un lavoro di campo nel quartiere Memorial Sandino, Managua.
- Vedi anche: María Dolores Álvarez (2000) “La ciudad ausente, políticas urbanas y espacios de socialización. Managua: paradojas de una ciudad” [LINK]
- Gioconda Belli (1991) “¿Qué sos, Nicaragua, para dolerme tanto?”, poesia [LINK]
- FOTO DI MANAGUA: Barrio San Judas e Asentamiento Memorial Sandino [ALBUM]
La Colonia Castells e la “sindrome da trasformazione urbanistica”
Un dialogo attraverso la geografia urbana brasiliana
Il ventre di Parigi
Etnicità e genere in un omicidio nella periferia di Roma
Il 15 ottobre 2010 è morta Maricica Haiaianu, infermiera rumena di 32 anni, dopo l'aggressione di un giovane italiano nella stazione metro di Anagnina a Roma. Su questo fatto (razzismo? sessismo? entrambi? o un complesso sistema di interazioni simboliche?), e sul contesto che lo ha provocato, scrive l'antropologo italiano Pietro Vereni. Questa è la traduzione del suo articolo allo spagnolo; l'originale in italiano si trova sul suo blog.
Lo siento, pero la cuestión es justamente étnica y de género. El asesinato por parte de Alessio Bertone de la enfermera Maricica Hahaianu en la estación de metro Anagnina de Roma, ha recibido mucha atención por parte de los periódicos, de la radio, de la televisión y de todos los medios de comunicación. La historia es esencialmente dramática en su banalidad (una nueva versión de la banalidad del mal, podríamos decir) y parecería una de esas trágicas “fatalidades” debida a la anomía de la vida urbana, a un sistema de relaciones sociales totalmente vacío de contactos personales y por lo tanto reducido a puro intercambio económico. Aunque no podamos pasar por encima de estos aspectos, y no hay duda que la vida en las metrópolis se caracteriza por un aumento de violencia aparentemente gratuita, pero creo que en este caso específico tenemos que investigar también su componente “étnica”, que no es absolutamente marginal como parecen suponer muchos periodistas y políticos: que han hablado de un caso de violencia que no hay que explicar absolutamente en términos de racismo o de tensión étnica.“Passatge Cusidó: un adèu” (Addio al passatge Cusidó)
Siviglia: quartiere di San Bernardo in pericolo
“Il quartiere non dev’essere una comunità chiusa, né un mausoleo della storia passata, non può esserlo. Il quartiere, in una città dinamica, è soggetto ad un costante divenire, ad un processo di decostruzione e ricostruzione che risponde a fattori multipli, il primo e il più semplice dei quali è la stessa biologia e finitezza della vita umana. Ma il cambio non sempre comporta un arricchimento, un quartiere può anche morire e sparire, e convertirsi in un mero spazio residenziale, un insieme di spazi privati senza luoghi né vita comune“. Dal Manifiesto por San Bernardo, documento sulla trasformazione del quartiere di San Bernardo a Siviglia, e sui movimenti di protesta che stanno portando avanti i suoi abitanti. Si veda anche la pagina web della rete di “quartieri in lotta” di Siviglia.…
Congresso di antropologia urbana in Grecia
Call for Papers per la conferenza annuale della Commission on Urban Anthropology del IUAES (International Union of Anthropological and Ethnological Sciences). Il titolo è: “Market vs Society? Human principles and economic rationale in changing times”.
A proposito della Grecia: articolo sulle strategie di controinsurgenza posteriori alle ribellioni di dicembre, specialmente ad Exarchia (Atene).…
“Those who can’t leave”: resistenza urbana a Seul
Questo video racconta la lotta della popolazione del quartiere di Yongsan (Seul)
contro gli sgomberi previsti dal progetto di “rinnovamento urbano” della zona, intrapreso dal 2008 dall’amministrazione della città sudcoreana. Un’occupazione di protesta di un edificio in costruzione è finito con la morte di cinque attiviste. “In South Korea, a country infested by excavators, this could happen to any tenant” (In Sud Corea, paese infestato dalle scavatrici, questo può succedere a qualunque affittuario). [Video completo in archive.org] A Novembre, a Seul è prevista la celebrazione del vertice G20.
- “Yongsan widows”. Articolo e foto su massacro di Yongsan, parte del progetto “Places for all” di Clarisa Diaz: en PDF
- Storia della resistenza del Duriban Cafè, centro culturale nel quartiere di Hongdae (Seul) sotto minaccia di demolizione. Petizione su Indymedia Japón.
- “South Korea: towards an Ubiquitous Mediascape“. Interessante articolo dell’antropologo finlandese J. Joukhi sugli usi della tecnologia in Corea [si veda anche il suo blog “An anthropologist goes techno“].
Antropologia in azione
Una serie de link e articoli per riflettere sulle modalità che assume l’antropologia quando si propone di entrare in azione, cioè di uscire da un'(impossibile) osservazione “pura” ed intervenire esplicitamente sul campo di studio. Negli anni settanta in Italia si parlava di “ricerca-intervento“, che traduceva l’espressione inglese “action research”. Varie esperienze di quell’epoca hanno avuto una continuità fino ad oggi, come ad esempio l’“inchiesta operaia” (in spagnolo tradotta come encuesta obrera) autogestita e portata avanti da attivisti o dagli stessi protagonisti dei conflitti sociali. Mentre il campo dell’“antropologia aplicada” (applied anthropology) è stato colonizzato dalle ONG e dai progetti di sviluppo, spesso controllati e finanziati dai governi, dentro i movimenti sono stati elaborati altri modi di produzione del sapere. A Barcellona nel 2004 c’è stato un incontro (all’Ateneu de Nou Barris) dal titolo “Investigazione“, dal quale è uscito il libro collettivo Recerca activista i moviments socials (El Viejo Topo, 2005). Tra gli altri, vi aveva collaborato l’antropologo Jeff Juris. In USA nell’ambito accademico si sta discutendo molto su quella che viene chiamata “public anthropology” (si veda l’articolo di Robert Borofsky e la sezione Public Anthropology Review della rivista American Anthropologist). Anche interessante è la prospettiva della “collaborative anthropology“, (vedere l’articolo di Joanne Rappaport) che si propone la rottura della produzione individuale di sapere dell’etnografo; anche se pare che negli ultimi anni questa prospettiva si è concentrata fondamentalmente sulla lettura e scrittura di blogs… Per tornare al punto: due libri su antropologia e anarchismo,
- David GRAEBER (2004) Fragments of an Anarchist Anthropology. Prickly Paradigm Press. [LINK][PDF]
- Beltran ROCA MARTINEZ (coord., 2010) Anarquismo y antropologia. La Malatesta editorial.