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Favela: l’essenziale, invisibile agli occhi.

27/11/2010 admin 0
Delle favelas brasiliane abbiamo generalmente un'idea distorta, condizionata dagli stereotipi e dal cinema. Spesso la povertà non si presenta sotto la forma fisicamente visibile di condizioni igieniche degradate o di gravi deficit di infrastrutture. L'istituzionalizzazione ed il riconoscimento pubblico di molti movimenti critici, dell'epoca della dittatura, ha elevato a sistema alcune relazioni puramente assistenzialiste che questi gruppi, ora sotto la forma di ONG, esercitano nei quartieri più poveri. Il loro lavoro continuo e finanziato durante gli ultimi decenni è riuscito a migliorare molti degli aspetti visibili della vita dei quartieri poveri; però compromettendo profondamente l'autonomia e la capacità autorganizzativa degli abitanti. Le comunità vengono ridotte alla dipendenza, e rimangono esposte ed incapaci di difendersi da sole dai pericoli. Nella favela Monte Azul di São Paulo, studiata da Fabiana Valdoski, un gruppo di tedeschi d'ispirazione antroposofica costituirono l'ONG Associação Comunitária Monte Azul, che controlla tutte le attività di miglioramento e "sviluppo" del quartiere. Però quando la favela è diventata interessante per la criminalità organizzata, che è iniziata a penetrare a Monte Azul nel 2008, né gli abitanti avevano più le capacità organizzative per impedirlo, né l'ONG ha potuto farci nulla.
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Note da un sub-suburbio di Madrid

17/11/2010 admin 0

MAD#sub fa parte di una ricerca sulle dinamiche territoriali della cintura sub-suburbiale di Madrid. È un processo di micro-ricerca azione che indaga sulle forme di rappresentazione del paesaggio della periferia, le pratiche culturali e le narrative autonome che si possono generare rispetto alla trasformazione e i vissuti di questi spazi liminali. Consideriamo la liminarità come uno spazio di transizione, caratterizzato dall’indeterminatezza e dove ogni divenire è possibile. La metropoli, e più concretamente la periferia, è uno spazio di resistenza e di possibili proposizioni che permettono la costruzione di nuovi modi di intendere la cultura e le forme di vita. I suburbi di queste periferie metropolitane sono spazi vuoti e lontani dal controllo, luoghi ancora suscettibili di essere riappropriati e dotati di nuovi significati”. Testo di proposta del LABORATORIO MAD#sub, organizzato a PUERTA DEL SUR, dal 19 al 22 di novembre da Sitesize e La Casa Encendida di Madrid.

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Le baracche di Poblenou

11/11/2010 admin 0
"Sgomberato l'ultimo campo zingaro di Poblenou" hanno annunciato i giornali di Barcellona il 6 ottobre. A informarsi meglio, la notizia è che non c'è stato nessuno sgombero, nell'accampamento c'erano troppi bambini. Quando la stampa tira fuori il tema degli zingari (rumeni, portoghesi o galleghi) che vivono nei terreni in transizione del grosso quartiere industriale di Poblenou, è sempre per annunciarne l'imminente scomparsa, come se si trattasse di un folkloristico residuo del passato. Sembrava fossero "gli ultimi campi" anche quelli sgomberati in calle Agricultura nel 2004, o nella fabbrica Oliva Artés nel 2003. Per definire i campi si usa la parola "barraques", storicamente connotata: la lotta contro il "barraquismo" è stata una delle conquiste dei comitati di quartiere di Barcellona negli anni 70 e 80. Per questo, le notizie sulle nuove baracche che sorgono accanto ai grattacieli del "distretto tecnologico 22@", più che a un rinascimento del "barraquismo", ci fa pensare a un rinascimento dell'uso del "barraquismo", per giustificare la semplificazione dei conflitti e contrasti che sorgono intorno ad un processo di così largo respiro come la riqualificazione urbanistica dell'antico quartiere industriale di Poblenou. Se gli zingari e le loro "baracche" sono il passato, e i grattacieli il futuro, ogni sgombero può presentarsi come un dovere verso la storia. E le politiche sociali, un residuo del passato.
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“Qué sos, Nicaragua, para dolerme tanto?” (Cosa sei, Nicaragua, per farmi così male?)

04/11/2010 admin 0

Non ci sono periferie a Managua, Nicaragua: perché non c’è il centro. In tutta l’estensione della città, gli asentamientos espontáneos (“favelas”) e le colonias (“gated towns”) vivono uno accanto all’altro, protetti gli uni dalla loro bande (pandillas), gli altri dalle guardie private. Il governo non fa nessun tentativo di nascondere la miseria dei suoi abitanti più poveri: perché il Nicaragua vende al mondo la sua povertà, per raccogliere le entrate della cooperazione internazionale, che in gran parte restano in mano delle sue élites.

Molte delle ONG che lavorano oggi nell’infinità di progetti di “sviluppo integrale” o “empowerment comunitario” nei quartieri più poveri di Managua, sono le stesse che negli anni ottanta offrirono solidarietà “internazionalista” e spesso anche armata, in difesa della Rivoluzione Sandinista dalla “guerra sporca” finanziata dagli USA. Ora sono pagate dagli stessi governi – europei e nordamericani – che contribuirono al fallimento di quello storico “progetto di sviluppo comunitario integrale diretto localmente”. I governi usano le ONG per aprire la strada al commercio internazionale, e come strumento palliativo per ridurre gli effetti dei “piani di aggiustamento strutturale” neoliberisti. Questo sistema perverso si riflette a livello micro nelle relazioni umane tra “cooperanti” e “beneficiari” dei progetti di sviluppo, secondo le conclusioni di  “La cooperación internacional en Nicaragua. Problemas y aspectos socioantropológicos”, Stefano Portelli, 2001. La ricerca si basa su un lavoro di campo nel quartiere Memorial Sandino, Managua.

  • Vedi anche: María Dolores Álvarez (2000) “La ciudad ausente, políticas urbanas y espacios de socialización. Managua: paradojas de una ciudad” [LINK]
  • Gioconda Belli (1991) “¿Qué sos, Nicaragua, para dolerme tanto?”, poesia [LINK]
  • FOTO DI MANAGUA: Barrio San Judas e Asentamiento Memorial Sandino [ALBUM]