“Un oasi di lusso nella capitale della mafia”, titolava un periodico peruviano che ha pubblicato di recente questo
fotoreportage sulla vita quotidiana del circolo Posillipo a Napoli. Eppure, nonostante i tanti indizi che sembrano dimostrare il contrario,
Napoli non può essere ancora assimilata allo stereotipo della città sudamericana, con i ricchi chiusi nei loro bunker dorati e il popolo per strada a scannarsi a colpi di revolver. Sia perché i soci del Posillipo
non sono poi così ricchi come si potrebbe immaginare, ma soprattutto perché Napoli, come le città sudamericane, è un posto ben più complesso delle narrazioni univoche che ne fanno i mass media, che ora ve(n)dono solo i morti ammazzati, la legge violata, il caos urbanistico e sociale, mentre negli anni Novanta raccontavano solo di monumenti riaperti, del dinamismo della nuova classe dirigente e del turismo ritrovato. Eppure la camorra controllava i quartieri anche allora, le periferie erano luoghi di seconda classe e i ragazzini cominciavano a farsi di crack e cocaina al riparo dell’invisibilità in cui faceva comodo relegarli; tutte cose che, in quel momento, non andavano troppo di moda.